Recensione AC/DC - Rock Or Bust (2014)
AC/DC
Rock Or Bust
Columbia
Sono passati ormai oltre sei anni
dall'uscita di Black Ice, un disco che all'epoca della sua uscita spaccò e non
poco il pubblico fedele al credo degli AC/CD, ma che nel complesso non si
rivelò deludente, se pur ordinario rispetto a agli album che hanno fatto grande
il nome della band australiana. C'era attesa attorno a Rock Or Bust, un po' per
la formazione che compone il disco, vista l'assenza di Malcom Young ed un po'
perché fondamentalmente un gruppo come gli AC/DC richiama sempre l'attenzione
al pari di band come Deep Purple, Black Sabbath e Motorhead, visto l'ormai
consolidato blasone. Sarebbe bello affermare che Rock Or Bust è l'album
migliore mai scritto dal buon Angus e compagni nel corso della loro carriera.
Sarebbe stupefacente rimarcare come questo album non abbia nulla da invidiare a
quei capitoli che hanno reso celebre la loro discografia, come Back In Black ad
esempio. Sarebbe altrettanto da sballo dire che Rock Or Bust è un disco colmo
di classici come Thunder Stick atti ad esaltare le platee. Purtroppo non è così
e qualsiasi altro concetto sarebbe pura e semplice delusione. Nello specifico
Rock Or Bust è un disco ordinario, privo di grinta e carisma, a volte
coinvolgente in qualche episodio, ma incapace di lasciare segno alcuno. Da un
lato c'è rammarico, dall'altro invece c'è la consapevolezza che probabilmente
tutto ciò che gli AC/DC dovevano dire in carriera l'hanno detto. E allora
perché pubblicare un nuovo album? Semplicemente perché il nome di artisti come
Angus Young e compagni tira ancora e perché probabilmente un disco degli AC/DC
se pur ordinario, è ancora superiore rispetta a tante nuove proposte che di
idee non ne hanno. E la giustificazione di questo concetto è nei brani, come la
title-track, che invece di trascinare si perde nella prevedibilità, o nella
seguente Play Ball, che segue il classico ritmo ripetitivo che contraddistingue
il trademark del combo australiano. Rock Away The Blues salvo qualche ritmo
accattivante, si perde tra i ritmi di basso e batteria, con qualche strimpellata
di chitarra che delude di gran lunga. Dogs Of War dovrebbe mordere, invece la
sua cadenza debole porta quasi alla noia. Lo scorrere del disco è un insieme di
ripetitività e anche nella conclusiva Emission Control non c'è nulla che faccia
elevare la qualità complessiva di un disco destinato a finire presto agli
archivi, nonostante un suono pulito e professionale.
Voto 5/10
Maurizio Mazzarella
themetalup in collaborazione con Maurizio Mazzarella - https://www.facebook.com/mazzarellamaurizio